Nel mio lavoro incontro spesso persone che mi vengono a trovare per noie vissute all’interno della coppia, quando le incomprensioni si fanno più presenti, solitamente nella fase in cui l’innamoramento e la passione iniziali si abbassano di grado ed è più facile far caso a comportamenti che prima non venivano nemmeno notati o sui quali si sorvolava tranquillamente.
Nel 1992 uscì un libro che in trent’anni è arrivato a 11 milioni di copie vendute e si è guadagnato il titolo di New York Times Best Seller.
A scriverlo fu Gary Chapman, autore, conferenziere e Counselor, specializzato in relazioni e si intitola “I cinque linguaggi dell’amore”.
In questo libro, più che mai attuale in un’epoca in cui le relazioni di coppia sono appese a un filo e tendono a durare sempre meno, Chapman parla di cinque comportamenti fondamentali che ognuno dei due partner dovrebbe offrire per far funzionale al meglio il legame.
Tutti noi facciamo il possibile per non essere ingannati dagli altri ma, spesso, attuiamo inganni proprio nei nostri confronti.
Nell’inganno sono presenti due soggetti, l’ingannatore e l’ingannato. Nell’autoinganno, invece, questi due soggetti sono la stessa persona e siamo di fronte a un paradosso, molto simile a quello del Barone di Münchhausen, che si salva dal pantano che sta per inghiottirlo tirandosi fuori per i capelli.
La differenza tra noi e il famoso Barone tedesco sta nel fatto che, spesso, anziché uscire dal pantano ci rimaniamo invischiati ancor di più.
Molte volte, ascoltando i problemi di incomprensione e le aspettative frustrate di uno dei due attori coinvolti in una relazione, mi rendo conto che sta vivendo qualcosa di non voluto, qualcosa che va contro i suoi reali bisogni, ma che è sempre stato presente, sin dalle prime battute del rapporto.
Si nasce empatici, per la presenza di uno specifico gene che alcuni hanno e altri no, o avviene qualcosa di diverso?
Gli studi che ho fatto, a partire dalla mole di lavoro di Daniel Goleman, autore del libro INTELLIGENZA EMOTIVA, sono concordi sul fatto che il cervello del neonato sia predisposto, in un certo senso, a imparare l’empatia, ma che non abbia questa capacità già installata quando viene al mondo.
L’autosabotaggio consiste nel mettere in atto, involontariamente, pensieri, comportamenti, atteggiamenti che, anziché facilitare il raggiungimento dei nostri obiettivi, lo rendono difficile, se non addirittura impossibile.
È una dinamica che può essere piuttosto invalidante e sulla quale potremmo non solo fare un video breve come questo, ma scrivere un saggio di centinaia di pagine, tanti sono gli aspetti e le aree della vita in cui si può verificare.
Il funzionamento psichico di un individuo adulto dipende molto, come abbiamo visto in alcune puntate precedenti, dal rapporto avuto con la cosiddetta “figura di attaccamento” avuta nell’infanzia, in particolare nei primissimi anni di vita, quando il bambino dipende da una figura adulta, di solito la madre, e cerca in essa una “base sicura”, ovvero un facile approdo al sentirsi innanzitutto visto, ma anche compreso, accolto, ascoltato e protetto, soprattutto nei momenti per lui difficili sul piano emotivo.
Questa puntata si lega alla precedente, nella quale ho parlato del funzionamento evitante, quindi, se non l’hai già vista, sarebbe meglio darle la precedenza (la trovi qui: https://www.youtube.com/watch?v=G9KfK4GoH_o
Oggi torniamo sulla tematica degli stili di attaccamento di John Bowlby e vediamo alcuni approfondimenti sullo stile definito ansioso-ambivalente che, come ho accennato nella scorsa puntata, spesso tende a coinvolgersi nei confronti di soggetti con uno stile prevalentemente evitante.
Il termine “evitante”, riferito alla predisposizione affettiva di una persona, si sta facendo sempre più presente anche nel vocabolario di chi non ne conosce approfonditamente il significato.
Ultimamente, lo sento pronunciare in maniera dispregiativa riferito a certe persone, come a dire che chi si tiene lontano da una relazione seria o da un legame autentico, sia una persona che sceglie deliberatamente di non offrirsi, di essere inaccessibile, per l’intimo piacere di far soffrire i potenziali partner.
In mancanza di un partner ideale, molti di noi tendono a idealizzarlo non appena ne trovano uno. È una situazione piuttosto comune nella fase dell’innamoramento, dovuta a una speciale condizione biochimica del nostro organismo, poiché si accende una sorta di dipendenza, che noi pensiamo sia verso il partner, ma purtroppo è verso le sostanze chimiche che il nostro cervello mette in circolo quando ci innamoriamo.